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Festival Narrazione Industriale

25.11.2025

Il Sole 24 Ore | Cultura e Sviluppo | Le nuove fabbriche da raccontare chiedono nuovi sforzi creativi

Nonostante sia tramontato nel suo significato tradizionale, il concetto di fabbrica, la sua presenza, la sua attualità continua a essere al centro della discussione del Paese come sinonimo di produttività, come motore principale della nostra identità imprenditoriale.

Nonostante sia tramontato nel suo significato tradizionale, il concetto di fabbrica, la sua presenza, la sua attualità continua a essere al centro della discussione del Paese come sinonimo di produttività, come motore principale della nostra identità imprenditoriale. È vero, infatti, che sembra lontanissimo il Novecento come secolo della grande industria, eppure non così distante appare la sua eredità che continua a interrogarci. Da tempo ormai la narrativa industriale non è più lo spazio del semplice documento, né il teatro delle contrapposizioni ideologiche tipiche degli anni della ricostruzione. Oggi gli scrittori avvertono piuttosto la necessità di raccontare una metamorfosi: quella che ha trasformato la fabbrica da icona sociale e architettonica in un paradigma mutevole, non più circoscritto ai capannoni dai tetti a sega, esteso a corridoi direzionali, multinazionali, spazi ibridi in cui convivono precarietà, nuove professionalità, crisi manageriali e forme inedite di fatica. È una stagione che ha prodotto romanzi, reportage, film, opere teatrali e artistiche capaci di leggere nelle pieghe del lavoro non solo cambiamenti economici, ma soprattutto mutamenti antropologici.

Ed è proprio questo bisogno di interpretazione che rende necessario un festival come quello di Parma. Siamo entrati in una stagione in cui l'Occidente, anche se immerso nella fase della post industrializzazione, vive una sorta di nostalgia inconsapevole. Da una parte ha smarrito i luoghi storici della produzione, le fabbriche tradizionali, appunto, spesso dismesse o delocalizzate. Dall'altra continua a interrogarsi su quali sagome dare a termini usurati dal Novecento – per esempio lavoro, produzione, crescita economica – e come conciliare sviluppo, sostenibilità e responsabilità condivisa in un momento dove l'Occidente sembra essersi smarrito e forse addirittura impossibilitato a offrire proposte percorribili come invece accadeva negli anni in cui si contrapponevano modelli sociali ed economici assai più definiti: est/ovest, economia sovietica/capitalismo.

L'impressione diffusa è che la fabbrica, il lavoro delle mani, la produzione di oggetti concreti (e non virtuali) non siano affatto scomparsi. Più facile dire che è cambiato l'orizzonte di riferimento, che hanno assunto significanze diverse, ma restano pur sempre oggetti, metodi, forme figli di una capacità produttiva che determina identità e futuro. La fabbrica era e rimane un laboratorio di materiali ma anche di idee, di creatività, di passioni e in un'Italia ancora profondamente segnata dall'artigianalità il racconto del lavoro industriale continua a essere una chiave preziosa per comprendere chi siamo e, soprattutto, quale sarà il nostro destino.

Le narazioni del Novecento – da Ottieri a Volponi, da Levi a Parise – hanno dato voce a operai, tecnici, dirigenti, mostrando come nelle officine si riflettessero tensioni e sogni di un'intera comunità. Oggi quegli stessi temi riemergono sotto nuove coordinate: il senso di perdita, la fragilità dei percorsi professionali, il bisogno di ripensare modelli produttivi alla luce delle sfide ambientali e sociali. Raccontare il lavoro industriale significa, dunque, interrogare il nostro passato per orientare il futuro. Il Festival della narrazione industriale di Parma nasce esattamente con questa consapevolezza. Non celebra una stagione conclusa né si limita a conservare un archivio di memorie: mette in dialogo linguaggi diversi – letteratura, cinema, arti visive, teatro – per restituire una storia in movimento, una sorta di inventario di elementi dispersi: valori, competenze, immaginari collettivi. Se la fabbrica è cambiata, lo è anche il modo di raccontarla. E forse è proprio attraverso il racconto che possiamo misurare il passaggio da un'epoca all'altra, così com'è stato per la fine del Novecento e l'inizio del terzo millennio, riconoscendo che la narrazione industriale non appartiene solo al passato, ma continua a essere una lente indispensabile per leggere il nostro presente, per considerare il lavoro – nelle sue forme antiche e nuove – non come un semplice meccanismo produttivo, ma uno spazio narrativo che restituisce all'individuo la propria voce e alla comunità la propria storia. Perché le fabbriche, reali o metaforiche che siano, continuano a costruire tanto il mondo quanto le narrazioni. Perciò occorrono scrittori, artisti, studiosi capaci di farlo, sempre a patto però che conoscano ciò di cui parlano.

Giuseppe Lupo - Il Siole 24 Ore

sole 24 ore giuseppe lupo
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